In questo post ‘Poesie per tutti: Nella mia arte scontrosa o mestiere‘ è possibile riflettere sull’importanza della poesia. Forse uno scrittore esordiente potrebbe leggere con attenzione l’articolo dell’autore di codesta rubrica. Sono sicuro che un’attenta lettura può tornare utile per rivisitare le proprie opere con una più accurata analisi. Un augurio cordiale a tutti gli esordienti per un successo letterario.
Ernesto de Feo
Nella mia arte scontrosa o mestiere

Ernesto de Feo
Nella mia arte scontrosa o mestiere
di Dylan Thomas
Nella mia arte scontrosa o mestiere
Praticata nel silenzio notturno
Quando soltanto la luna infuria
E gli amanti giacciono nel letto
Con tutti i loro affanni tra le braccia,
Io mi affatico a una luce che canta
Non per pane o ambizione
Né per pavoneggiarmi e vender fascino
Sui palcoscenici d’avorio,
Ma per il comune salario
Del loro più intimo cuore.
Non per il superbo che s’apparta
Dalla luna che infuria io scrivo
Su questi labili spruzzi di pagine
Né per i morti che torreggiano
Con i loro usignoli e i loro salmi,
Ma per gli amanti, che abbracciano
Tutte le angosce dei secoli,
Che non pagano lodi né salario
E non si curano del mio mestiere o arte.
(Traduzione: Ariodante Marianni.)
In questa celebre poesia di Dylan Thomas, si rivela con forza la straordinaria tensione sonora e ritmica che caratterizza tutta la sua produzione poetica. La musicalità del verso non è un semplice ornamento, ma un elemento strutturale: Thomas costruisce i suoi testi come vere e proprie partiture vocali, fedeli alla sua idea che la poesia debba essere “letta ad alta voce per vivere”. Non a caso, Harold Bloom ha definito Thomas “un poeta-oratore”, la cui arte nasce nella voce e nella carne della lingua.
Le due strofe in esame sono esemplari di questa poetica. Il poeta dichiara con orgoglio la sua distanza da qualsiasi intento utilitaristico: egli scrive “non per pane o ambizione / né per pavoneggiarmi e vender fascino”, ma per esprimere, attraverso la parola, ciò che profondamente sentono gli amanti nella notte. La luce che guida il suo affaticarsi è una “luce che canta”, una metafora che fonde visivo e uditivo, immagine e suono, e che richiama la forza misteriosa dell’ispirazione poetica.

La notte, quando “solo la luna infuria”, diventa il tempo privilegiato sia dell’amore che della scrittura. In questo senso, Thomas stabilisce un parallelismo centrale tra l’esperienza poetica e quella amorosa: entrambe si consumano nell’ombra, in un silenzio che tuttavia è carico di emozione e tensione. Gli amanti “abbracciano tutte le angosce dei secoli”, e il poeta, a sua volta, fa propria quella sofferenza universale, trasformandola in parola.
Questo legame tra poeta e amanti — che non lo ricompensano, non lo lodano, e “non si curano del [suo] mestiere o arte” — è profondo e paradossale. Il poeta è al tempo stesso vicino e distante, empatico ma non riconosciuto. È qui che si svela la natura ambigua della poesia come “arte scontrosa o mestiere”: un lavoro notturno, solitario, silenzioso, spesso ignorato ma assolutamente necessario. In tal senso, si può leggere questa poesia come una sorta di dichiarazione di poetica, vicina a quanto affermato da T.S. Eliot quando sosteneva che “la poesia non è un’espressione personale, ma una fuga dalla personalità” — e tuttavia, in Thomas, questa “fuga” è profondamente partecipata, empatica, carnale.
Stilisticamente, si notano elementi ricorrenti del suo modo di scrivere: l’uso evocativo della sinestesia (“luce che canta”), la struttura che sostiene l’intensità emotiva, il ritmo solenne e incalzante che dà voce a una parola poetica destinata non alla logica, ma al sentire. È una poesia che va “sentita” più che spiegata, e che trova la sua forza proprio nel rapporto tra forma e contenuto, musica e significato.
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In definitiva, Dylan Thomas rivendica una poesia che non si piega ai criteri del successo, della fama o dell’utilità sociale, essa è gratuita e si nutre di verità interiori, di oscurità condivise e di quel misterioso “salario” che è la comunione segreta con il cuore degli amanti.
Nota biografica:Dylan Thomas (1914–1953) è stato un poeta e scrittore gallese, tra le voci più intense e originali del Novecento anglosassone. Nato a Swansea, nel Galles del Sud, mostrò fin da giovane un grande talento per la scrittura, pubblicando la sua prima raccolta “18 Poems” nel 1934, che lo impose all’attenzione del pubblico e della critica.
La sua poesia, caratterizzata da una straordinaria musicalità e da un linguaggio ricco di immagini visionarie e simboliche, riflette spesso i temi della vita, della morte, della natura e della memoria. Tra le sue opere più note si ricordano “Do not go gentle into that good night“, struggente poesia dedicata al padre morente, e “And death shall have no dominion“, esempio della sua visione potente e mistica dell’esistenza.

Pochi autori come lui hanno avuto nella poesia del Novecento l’affascinante,euforica e forte intensità vocale dei suoi versi.
Oltre alla poesia, Thomas fu anche autore di racconti, radiodrammi e prose liriche; celebre è del 1943 il testo scritto per la BBC “Under Milk Wood“, una “commedia per voci” ambientata in un immaginario villaggio gallese.
Tre anni dopo pubblicò la raccolta di poesie “Death and Entrances” considerata il suo capolavoro e nel 1952 i “Collected Poems”
Condusse una vita turbolenta, segnata da difficoltà economiche, eccessi alcolici e fragilità emotive. Morì prematuramente a New York nel 1953, a soli 39 anni, lasciando un’impronta profonda nella letteratura moderna per la sua capacità di fondere la forza evocativa del suono poetico con una sensibilità visionaria e umana.



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Attraverso la lente di Ernesto de Feo si recepisce il messaggio di come la poesia abbia una potenza straordinaria nel comunicare sentimenti passioni ed emozioni. C’è sofferenza dietro la intelaiatura di un costrutto poetico che sia anche lirico… Che si elevi in un volo che sconfigga la mediocrità di una visione dronica dell’essere e dell’esistenza.. non è la ricerca della fama, non è la spinta al successo che genera il danaro e quindi il potere dell’essere famosi.. è soltanto la poesia che pura esprime la sua nuda tensione alla bellezza.