PASSEGGIATE LETTERARIE: Il fuoco che ti porti dentro

Molti libri antichi ordinati in una vecchia libreria di noce.
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Le reali possibilità per uno scrittore esordiente di pubblicare il proprio libro

In questo post ‘PASSEGGIATE LETTERARIE: Il fuoco che ti porti dentro’ è possibile riflettere su un modo personale di analizzare un testo che ci rende consapevoli di molteplici aspetti di un’opera letteraria. Forse uno scrittore esordiente potrebbe leggere con attenzione le analisi dell’autrice autorevole di codesta rubrica. Sono sicuro che un’attenta lettura può tornare utile per rivisitare il proprio manoscritto con una più accurata analisi. Un augurio cordiale a tutti gli esordiente per un successo letterario.

MARIA ROSA GIANNALIA

Il fuoco che ti porti dentro
di  Antonio Franchini
Copertina libro con volto di giovane donna che fuma
Autori di passeggiate letterarie 10

Il fuoco che ti porti dentro

Antonio Franchini

IL SENSO DELLA VITA

Un romanzo di Antonio De Martino

IL SENSO DELLA VITA

PASSEGGIATE LETTERARIE: Il fuoco che ti porti dentro

Recensione di Gemma Pardocchi

Introduzione

Questo romanzo, con il quale Antonio Franchini ha vinto il premio Campiello Selezione del 2024, parla della madre, una donna rancorosa e incoerente, dal carattere impossibile, che ha reso la vita con lei insopportabile ai figli, un personaggio prorompente, ma che ha abitato la mente e l’immaginario dell’autore così tanto che ne ha fatto la protagonista di un romanzo: infatti, questo, non è solo un memoir, ma una vera e propria costruzione fictional di un carattere e di un ambiente che, letto in chiave sociologica, ci rende la complessità dei luoghi e degli anni che Angela Izzo ha vissuto.

PASSEGGIATE LETTERARIE: Il fuoco che ti porti dentro

La storia della protagonista

Angela Izzo, madre di Antonio, è una donna del popolo originaria di Benevento che vive a Napoli, che conduce una vita abbastanza libera, frequenta studi classici e qualche anno di università letteraria. Giovanissima, si sposa già incinta con un uomo di venti anni più anziano, il padre dell’autore, un borghese benestante, elegante e appassionato di libri, si dedica alla famiglia e lascia gli studi. Angela col matrimonio entra in un ceto sociale più elevato dove si sente assolutamente estranea, ma nessuno l’aiuta ad entrare e capire quel mondo, non la cognata probabilmente gelosa, non il marito che si rinchiude in un suo mondo fatto di carte e di libri.
Allora in Angela si sviluppa una sorta di nevrosi da frustrazione, insoddisfazione, isolamento psicologico che la porta a disprezzare tutto e tutti per sentirsi “superiore” ancorandosi testardamente con rabbia ai pochi principi in cui crede e in base ai quali formula i suoi giudizi scaricando così la sua infelicità, la sua rabbia, il suo odio in un linguaggio trash che è un fuoco d’artificio di assurdità, di contraddizioni e che molto spesso si accompagna ad atti assolutamente poco razionali, aggressivi contro tutti.
Il racconto segue Angela nelle fasi della sua vita, le vicissitudini, le malattie, il rapporto rabbioso coi figli e con la madre che vive con loro, fino al suo trasferimento, ormai vedova e ‘orfana’ a Milano in un appartamento vicino al figlio, la sua malattia e la sua morte.

PASSEGGIATE LETTERARIE: Il fuoco che ti porti dentro

I NODI NARRATIVI : L’incipit

Il libro inizia con un incipit scioccante, che però ci dà subito l’idea di come l’autore intende trattare la materia: con ironia, con umorismo caustico ma non cattivo, che palesa la distanza con cui vuole guardare agli eventi narrati, l’assenza di un coinvolgimento emotivo.
La struttura del libro sembra consistere in tre blocchi, con un progressivo cambiamento di tono: il primo concentrato su Angela e l’infanzia e la giovinezza di Antonio e le sorelle, è traboccante di espressioni forti che rivelano l’Angela rabbiosa, il suo carattere intollerante, le sue fissazioni, il conseguente fastidio del figlio (e dei figli) che rasenta l’odio e la vergogna, ma è anche alleggerito da ironia e comicità, divertente, che sottolinea l’assurdità quasi macchiettistica del carattere di Angela.
Angela è una persona rancorosa, incoerente, che parla e straparla, non ascolta nessuno, che dà sfogo alla sua rabbia, quasi sempre per futili motivi, con tutti, specialmente in famiglia e contro i figli, con la stessa modalità che sua madre (il Locusto) ha usato con lei: urla e insulti. Lei come la mamma diffida di ogni segno di affetto pensa solo al male, non sa dimostrare l’amore, non sa farsi amare: “ la sua tragedia è forse – si chiede Antonio – anche la mia!” Anche i nipoti la temono, sono in uno stato di perenne allarme.
Nella loro famiglia non era possibile nessuno scambio normale, dice Antonio, nessun ragionamento pacato nella sua casa. “ A chiedere scusa ci si educa , mentre a casa mia non ci si confronta, si urla e si aggredisce, o si sta zitti”.

LA FAMIGLIA

Nella seconda parte, la vita in famiglia comincia a diventare insopportabile, Angela è un flusso incontenibile di sentenze e insulti su tutti, l’ironia del tono narrativo diventa caustica, ma alcuni episodi e commenti dell’autore ci rivelano i drammi della vita di Angela, particolari della sua vita di cui Antonio, crescendo, viene a conoscenza o si accorge, avvenimenti che hanno segnato la vita della madre, come il ricovero in ospedale e la malattia, e riconosce che il padre si è sempre tenuto lontano dagli oneri casalinghi, l’allevamento dei figli, demandando tutto il compito ed il peso ad Angela. Il padre, Eugenio, è uomo senz’altro tollerante, elegante (ci teneva molto come ogni buon napoletano di ‘rango’) completamente assorbito nel suo lavoro e nel suo studio, uomo poco pratico, intellettuale inconcludente, solitario per forza, poco presente anche nella vita dei figli, che reagisce con ‘filosofia’ tutta napoletana alle reazioni e agli improperi della moglie, ma che lei ama e in un certo senso rispetta, forse rassegnata a quel ruolo che comunque assicura a lei e alla madre Michela una vita agiata.

LA VISIONE DEL MONDO

L’umanità per Angela è un’entità da sorvegliare è ‘una moltitudine che trama compatta a danno suo e del suo sangue, ma lei per fortuna è vigile’! Litiga con tutti, è sospettosa con gli altri di cui immagina malignità nascoste. Inveisce contro i vecchi che non fanno cose consone, le vecchie del nord che escono col bastone, ha la fissa che al Nord uccidono i vecchi e quando è a Milano, si rintana in casa con doppio chiavistello tanto che i nipoti la soprannominano La talpa. Angela nutre pregiudizi forti anche sugli studi universitari e anche lì ha da ridire sminuendo il corso di studi di Antonio in “letterelle” per femmenelle…che pure fu il suo, ma andava bene per una donna non per un uomo. Un tarlo la rodeva. Non avere potuto fare ciò che voleva, laurearsi, magari insegnare, rendersi indipendente economicamente avere una propria vita, una professione in cui esplicare la sua verve, la sua creatività, che infatti riversa sul cibo e sul linguaggio.

IL SENSO DELLA VITA

Un romanzo di Antonio De Martino

IL SENSO DELLA VITA

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LA RABBIA DI ANGELA

A questo punto ci si chiede cosa abbia reso Angela così aspra, rabbiosa, incapace di qualsiasi razionalità, preda delle sue ossessioni e fissazioni che ripete più volte in successione come una litania, a sproposito e contraddicendosi molto spesso. Cosa l’ha resa così diffidente e astiosa nei confronti del mondo? L’educazione materna, i desideri incompiuti, le frustrazioni personali l’hanno inasprita e resa insoddisfatta, un vulcano esplosivo di rancore e odio verso il mondo, la madre, i figli che dovrebbero essere il suo riscatto ed invece non sono come lei vorrebbe, una frustrazione a cui cerca di reagire aggredendo, mostrando disprezzo verso tutto ciò che non è al suo livello, che ritiene ‘un pericolo’ che si discosta dal suo modo di vedere, o che rappresenta un oggetto di invidia? Qualche spiegazione si può trovare in alcune osservazioni, sparse nel romanzo, sul fatto che in fondo lei aveva fatto una vita ‘di merda’, sulle sue malattie, sulla sua solitudine a fronteggiare i problemi quotidiani, sull’educazione rigida impartita dal padre, sulla ‘predisposizione naturale’, una specie di DNA della famiglia, ma anche condivisa con la realtà napoletana e del sud. Infatti “tutti i mali d’Italia qualunquismo, razzismo, classismo, egoismo e la mezza cultura che è peggiore dell’ignoranza” sono quì concentrati in lei che diventa personaggio emblematico di un romanzo che è, quindi, più di una biografia, limitato al caso singolo, ma diventa sintesi di un modo d’essere e del pensiero nazionale, tanto che non è facile distinguere durante la lettura cosa sia fiction e cosa realtà.
Dalla vicenda di Angela traspare un problema sociologico proprio degli anni conseguenti alla guerra, un incontro/scontro fra le classi sociali, quella di Angela che vive alla giornata e fra mille difficoltà nei bassi o nei vecchi palazzi fatiscenti, abbandonati dalla nobiltà o dai benestanti, naif, priva di sovrastrutture sociali e civili, sguaiata e aggressiva governata dallo spirito di conservazione, che aggredisce per non essere aggredita, e la classe del marito professionista senza evidenti problemi economici. Una condizione che lei non riesce a superare essendo impeto e non razionalità, e che le rode per tutta la vita. Un senso di inferiorità che nel sud diventa guapperia, come insegna O’Zappatore di Mario Merola.
Eppure ogni tanto in Angela qualche barlume di sensibilità affiora ‘…come il relitto di un’insospettabile imbarcazione antica dal letto di un fiume in secca…’, fa breccia nella scorza dura e tagliente delle sue reazioni e delle sue parole. Ha solo un grande amore, la cucina, il pesce, la frittura e la pizza che diventa specchio del suo umore, e il dottor Monaldi che l’ha operata e salvata.

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La terza parte della struttura narrativa è quella della vecchiaia, della vedovanza, la solitudine, l’allontanamento dei figli e la malattia (si ripropongono problemi respiratori e demenza?) nella quale il racconto delle condizioni di Angela, la minuziosità delle descrizioni del suo decadimento corporeo, diventano crude e quasi ‘pulp’, l’ironia e il colore umoristico si trasformano in disgusto e in chi legge generano ansia e un senso di tragedia e pietà per un essere che si è tanto dibattuto con se stessa e con gli altri, ha fatto tanto rumore e mai ha trovato pace. Nel narratore-figlio non si percepisce il sollievo che ci si aspetterebbe, ma il culmine del senso di impotenza che lo ha accompagnato durante la sua vita con la madre fino al suo allontanamento e anche durante le brevi vacanze insieme, di ineluttabilità del destino umano e infine anche di pietas.

ANGELA E I FIGLI

Angela si accanisce soprattutto sulla prima figlia, Paola, con la quale ha un rapporto particolare: benché la disprezzi, la consideri inetta e incapace, la difende quando è a scuola contro tutti, si impegna a trovarle un futuro, una sistemazione, a farla studiare, ottenere un diploma e così studia con lei, le trova un lavoro, l’insegnamento di religione nelle scuole. Ma quando la figlia, anni dopo, lascia l’insegnamento, per Angela sarà un terribile affronto, un tradimento. L’amarezza e la rabbia di Angela verso Paola, l’unica che non le si è ribellata al suo disprezzo e ai suoi insulti, (ma ha messo a punto una strategia difensiva, isolarsi psicologicamente, rifugiarsi in un altrove, rendersi insensibile alle umiliazioni), è verosimilmente dettato dal fatto che in lei credeva di avere trovato una creatura da forgiare, data l’ arrendevolezza del suo carattere, quella che avrebbe potuto riscattare ciò che lei non aveva potuto fare, studiare e insegnare, farsi una propria vita. Paola è la proiezione di Angela, è la sua ragione di vita, ed è per questo che non sopporta il suo rifiuto della strada che la mamma aveva costruito per lei e lo considera un tradimento.

ANGELA E ANTONIO

Il rapporto fra Angela ed Antonio è “una messinscena, un mandarsi affanculo”, ma amarsi lo stesso, un rapporto odio – amore, che traspare più o meno palesemente fra le righe del racconto. Nella giovinezza, l’autore, Antonio, si vergogna di averla come madre e nutre per Angela odio e disprezzo, un disprezzo intellettuale per come racchiude tutti gli orrori d’Italia, e si allontana: conosciuta un’altra realtà a Milano presso la zia Maria e presso lo zio Francesco, l’Avocat, in un nord dove si sente sempre più a suo agio, vi si trasferisce anche sperando che la distanza mitighi il rancore reciproco.
Da adulto e uomo realizzato, Antonio, guarda con più distacco e freddezza a questa donna terribile, e rivela una tenerezza inaspettata nel suo preoccuparsi della madre sola e farla venire a Milano a vivere accanto a lui, nell’assoggettarsi alla routine del caffè a casa sua, dove subisce quasi silenzioso la solita recita, la solita litania di cose dette e sentite mille volte; tenerezza quando, Mamma in crisi respiratoria, le prende la mano con gesto un po’ forzato, “ ma è piu facile tenerle la mano e accarezzarla, è un pezzo di lava freddo”, tenerezza e cura, la stessa che mette quando cerca i dischi che le piacciono, Murolo, o quando le porta, a Milano, il pesce che lei tanto desidera.
‘Io lo so cos’è….’ L’autore si sente dentro divorare dallo stesso fuoco di Angela, ‘il fuoco che ti porti dentro’ non è solo riferito ad Angela, ma anche a se stesso, un fuoco ereditato. Questa somiglianza fra il suo carattere e quello di Angela, è più volte ribadito anche con piccole o banali osservazioni. ‘Per un momento penso che è la stessa pizza che ordinerei anch’io’.
L’autore, però, respinge l’idea che scrivere della madre come ha fatto, sia pari ad una seduta psicanalitica: la scrittura non è stata liberatoria, dice, non c’era l’intento di medicare le ferite lasciate dalla madre, nessuna implicazione psicanalitica! ‘non è leale battersi coi morti, ho solo voluto far conoscere e vivere al lettore un’esperienza estrema’. Ma è lecito al lettore pensare che nel raccontare della madre abbia voluto anche scaricare ciò che lui stesso aveva di rancoroso, il sentirsi trascurato per la sorella Paola per esempio, o esorcizzare nella scrittura, un atto di oggettivazione dalla persona e dai fatti, quel che sentiva di avere dentro, lo stesso fuoco che ardeva dentro la madre, lo stesso modo di reagire alle cose. Un esercizio di comprensione del sé più profondo, quello nascosto dietro il costume di civiltà e pacatezza appreso dallo zio e scelto come stile di vita. Un’autoanalisi che si conclude con interrogativi sull’esistenza, sul fatto che non sappiamo in realtà chi sono le persone anche quelle che amiamo o che la vita ci ha messo affianco: abbiamo solo una parziale visione, e così i nostri figli di noi; che certi meccanismi di violenza e sopraffazione siano latenti nelle relazioni private della società meridionale, istintive e congenite.

LO STILE

Ho apprezzato molto il libro per l’ironia e la comicità che alleggeriscono una materia che induce alla riflessione ma che è anche sconvolgente, nella misura in cui riconosciamo persone e comportamenti familiari. Molto efficace per il linguaggio immediato, molto parlato, giocato su strutture sintattiche varie, un uso del dialetto napoletano discreto, limitato alle colorite espressioni di Angela e di qualche altro, e insieme, un caleidoscopio di immagini, similitudini, metafore, di cui è ricco il parlare ‘barocco’ dei napoletani, e una varietà di paragoni ardui, “…lei e sua madre hanno vissuto così alla ricerca dell’insulto nascosto, come il sangue occulto delle feci” rendono la narrazione ricca ed efficace. L’uso del presente e dell’impersonale (bisogna raccontare) per riferirsi a cose che la madre faceva per normale sfogo della sua indole, “… si condannano gli adulti come tali, si giudicano i padri…”, creano distanza fra il narratore, le vicende e gli altri. Spesso per sé usa la terza persona come se fosse osservato da un narratore estraneo.
Il libro sembra talvolta un insieme di frammenti, un poliedrico insieme di ricordi e osservazioni riportate sulla pagina così come salgono alla coscienza e alla mente. Viaggia nella vita di Angela passando agilmente da un episodio all’altro senza apparente collegamento, saltando anni interi, seguendo più il flusso dei suoi pensieri che l’ordine cronologico. Anche i pensieri dell’autore scorrono e si accavallano nella pagina perché in realtà questo è anche un libro su di sé, su come ha vissuto, su quali sono state le sue reazioni emotive e le sue conseguenti riflessioni. Nella seconda parte specialmente incontriamo un incredibile mix di stili o meglio tecniche narrative: ripetizioni, elenchi, gustose scenette quasi teatrali nelle quali trasforma i dialoghi con la madre, o meglio i monologhi della madre che ripete le cose di sempre mentre lui, Antonio, risponde a monosillabi con un divertente squilibrio interazionale e un efficace risultato comico.
Così come nella conclusione quando immagina la madre al cospetto del divino, che si presenterà e comincerà come sempre con la sua litania e recita, a parlare ininterrottamente, così che la commissione sacra la lascerà passare in mezzo ai beati, per disperazione.

Nota Biografica

Antonio Franchini è nato a Napoli, ha seguito studi classici e conseguito una laurea in lettere che l’ha portato a insegnare in un liceo e assai presto a lavorare nell’editoria come curatore per la Mondadori, che lascia nel 2015 per occuparsi del settore non illustrato della casa editrice Giunti. È considerato un talento rilevante come scopritore di talenti letterari con le qualità di profondità e autenticità che lui ritiene il requisito fondamentale per promuovere un autore nascente. Come scrittore ha pubblicato racconti di varia natura, saggi, romanzi e conseguito diversi premi. È anche traduttore di Chandler, il creatore di Philip Marlow.
https://it.wikipedia.org/wiki/Antonio_Franchini


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